La Baronia di Foiano
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Biografia di un mercante

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Messaggio  Admin Mar Gen 15, 2013 3:45 pm

Maggio 1460

Era ormai più di un anno che Dainello, in compagnia della moglie Cornelia, e di altri membri del casato de' Medici, solcavano mari e percorrevano terre straniere, immersi nell'impresa familiare a cui avevano deciso di dedicarsi.

Avendo operato all'interno dell'organo municipale poliziano, denominato C.A.R.R.O., Dainello aveva potuto verificare la bontà delle sue attitudini commerciali in termini organizzativi, sia avendo coordinato diverse spedizioni avvalutesi della partecipazione di mercanti professionisti e non, sia avendo ordinato e resi "pubblici", nelle sale del consiglio municipale, i resoconti dettagliati, con relative plusvalenze ben tangibili, di tali missioni.

In fondo fare un bilancio era argomento degli studi che ormai aveva completato, ma oltre a questo non era mancata occasione di verificare l'altrettanta bontà delle sue attitudini commerciali in tema di trattativa, sia nelle vesti pubbliche, da sindaco, sia in quelle private, quando ricoprendo il ruolo di corriere in spedizioni pubbliche, aveva ottenuto il modo di non gravare sui costi della città rinunciando a farsi retribuire per il servizio svolto, autofinanziando la trasferta con investimenti propri, i quali talvolta, spesso, maturavano utili superioro a quanto avrebbe percepito da semplice corriere.

Su queste solide basi, e in società con una moglie in grado di far quasi raddoppiare la tesoreria poliziana durante i suoi altrettanto prosperosi mandati da sindaco, e potendo inoltre contare sull'utilizzo di una galea mercantile di famiglia, del quale era stato previdentemente maggior azionista all'atto dell'acquisto, non sarebbe stato difficile pensare che l'impresa sarebbe stata un successo.
Forse non di tali proporzioni, ma sapevano a cosa andavano incontro, con sicurezza e senza rimpianti.

La vita pubblica era stata abbandonata, di certo senza remore, quando venne rinnegata la bontà del loro operato, a favore di una penosa censura per mancanze derivate dal pressappochismo di intoccabili stolti, ma soprattutto quando l'indifferenza di molti, creduti fino ad allora amici, aveva avvolto la scandalosa vicenda, segnando un indelebile confine dietro al quale mai sarebbe potuto tornare.

Tale sensazione di rigetto, venne esasperata da come fu accolta da una parte della popolazione fiorentina quella tragedia, sulla quale rimangono ancora molti interrogativi, che comunemente viene ricordata come "la grande peste":
ci fu chi guardò senza batter ciglia, ci fu chi mangiò abbondantemente e ne trasse sazietà, ci fu chi danzò sulla memoria di patrioti fedeli e devoti al bene comune.

Con questo bagaglio, assieme a circa un migliaio di ducati, ciò che restava degli investimenti fatti per avviare le due vigne e la cantina da poco inaugurata, si erano imbarcati più di un anno fa.

Fu allora che la nipote Elisa tenne le prime lezioni pratiche su come governare una nave a Dainello, il quale potette apprendere i trucchi di una navigazione veloce e sicura.
Al contempo, svincolatosi dagli impegni araldici, aveva trovato modo di occupare il suo tempo mappando ogni angolo che avrebbero da lì in avanti visitato.

Ricordava ancora la meraviglia provata all'apparire all'orizzonte delle isole Baleari, prima terra ferma avvistata dal ponte della nave dopo giorni.
E ancora l'approdo a Denia, la pena per la desolazione di quei luoghi, impoveriti dal malgoverno, come temeva presto avrebbe potuto essere per la sua patria.
E Jativa, la capitale Valencia, militarizzata e visitabile solo per pochi contati giorni;
il ritorno verso la nave, l'imbarco, e la risalita del fiume Ebro, fino al porto di Caspe.
La traversata verso Fraga, la divertente questione con il tribunale Aragonese, che prima imputò a Elisa un illecito profitto di ben 0.05 ducati su un tronco di legno, per poi finirla con lo scusarsi per il disagio e ritardo inflittoci.

L'attracco a Chiavari, il viaggio fino a Verona, le difficoltà nello stipare il carico di sale, dovuto poi custodire nella tenuta di Arlecchino a Guastalla.

Il primo rientro a Firenze, i disagi provocatici miratamente da vecchie conoscenze; le minacce di affondarci la nave al porto, per due giorni di proroga non consentiti pur dietro pagamento maggiorato prima, l'estorsione di un centinaio di ducati poi.

Capita viaggiando di avere contrattempi spiacevoli, un po' più strano imbattercisi solo a casa propria.

Poi la nuova partenza, per mete ancora più esotiche: le difficili manovre tra Scilla e Cariddi, lo spavento ingiustificato tra le isolette dellìEgeo,le palme di Canakkale, la cordialità ottomana, l'ingresso nello splendido mar di Marmara.
I cinque giorni di attesa al porto di Gemlik, vani...

L'approdo in Tracia, la risalita dell'Adriatico orientale, la piacevole pausa a Lezhë, la visita a zia Katied a Parenzo.
La risalita del Po, le mediazioni milanesi e modenesi, l'ordine abnorme a cui solo loro erano riusciti a far fronte, pur rinunciandovi visti i dubbi sulla sicurezza nella consegna, rinunciando a migliaia di ducati di commissione solo per il trasporto di tale entità di carico.

La tappa a Silvi, dove avevano caricato il cugino Ganimberto, riappacificato dopo mesi e mesi di freddezza dovuta a screzi per questioni che ormai risultavano così distanti, da non considerarle neppure più degne di essere prese in considerazione.

Ed erano di nuovo lì
a Montepulciano
con un anno in meno di vita da vivere
ma con tante esperienze ed emozioni da ricordare, superiori a quante ne avrebbero collezionate in una vita intera passata a sprecar tempo, passione e lealtà, per chi non avrebbe avuto neppure misura del loro valore.

I loro averi superavano di poco i 20000 ducati.

Dainello spremeva l'uva che avrebbe riempito i barili che Cornelia fabbricava, tramutandosi ognuno in tanti ducati quanto il doppio di quanto il municipio svendeva lo stesso prodotto al cugino modenese del generale poliziano, nobile, e "fedele" alla patria.
La stessa patria che a sua volta svendeva a un corriere senza scrupoli e senza modestia, tanto che si professava benefattore per riconoscere a Firenze 60 ducati a botte (meno le spese di trasporto), il proprio prodotto tipico, fino a quando la contessa Beatrice se ne accorse, e decretà un valore adeguato al prodotto che avrebbe fatto ricca Firenze, se difesa da parassiti ingordi e viscidi con l'aureola in testa lucidata di tutto punto.

Presto sarebbero partiti per la prima tappa di un'impresa straordinariamente redditizia,
per la quale si erano già preparati stipando quanto più sale potevano.

Nessun rimpianto, solo tanta soddisfazione in tante forme diverse.
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Messaggio  Cornelia_alba Mar Gen 15, 2013 6:05 pm

Maggio 1460

Era ormai più di un anno che Dainello, in compagnia della moglie Cornelia, e di altri membri del casato de' Medici, solcavano mari e percorrevano terre straniere, immersi nell'impresa familiare a cui avevano deciso di dedicarsi.

Avendo operato all'interno dell'organo municipale poliziano, denominato C.A.R.R.O., Dainello aveva potuto verificare la bontà delle sue attitudini commerciali in termini organizzativi, sia avendo coordinato diverse spedizioni avvalutesi (Brutto, ma non so cosa metterci)della partecipazione di mercanti professionisti e non, sia avendo ordinato e resi "pubblici", nelle sale del consiglio municipale, i resoconti dettagliati, con relative plusvalenze ben tangibili, di tali missioni.

In fondo fare un bilancio era argomento degli studi che ormai aveva completato, ma oltre a questo non era mancata occasione di verificare l'altrettanta bontà delle sue attitudini commerciali in tema di trattativa, sia nelle vesti pubbliche, da sindaco, sia in quelle private, quando ricoprendo il ruolo di corriere in spedizioni pubbliche, aveva ottenuto il modo di non gravare sui costi della città rinunciando a farsi retribuire per il servizio svolto, autofinanziando la trasferta con investimenti propri, i quali talvolta, spesso, maturavano utili superiori a quanto avrebbe percepito da semplice corriere.

Su queste solide basi, e in società con una moglie in grado di far quasi raddoppiare la tesoreria poliziana durante i suoi altrettanto prosperosi mandati da sindaco, e potendo inoltre contare sull'utilizzo di una galea mercantile di famiglia, del quale era stato previdentemente maggior azionista all'atto dell'acquisto, non sarebbe stato difficile pensare che l'impresa sarebbe stata un successo.
Forse non di tali proporzioni, ma sapevano a cosa andavano incontro, con sicurezza e senza rimpianti.

La vita pubblica era stata abbandonata, di certo senza remore, quando venne rinnegata la bontà del loro operato, a favore di una penosa censura per mancanze derivate dal pressappochismo di intoccabili stolti, ma soprattutto quando l'indifferenza di molti, creduti fino ad allora amici, aveva avvolto la scandalosa vicenda, segnando un indelebile confine dietro al quale mai sarebbe potuto tornare.

Tale sensazione di rigetto, venne esasperata da come fu accolta da una parte della popolazione fiorentina quella tragedia, sulla quale rimangono ancora molti interrogativi, che comunemente viene ricordata come "la grande peste":
ci fu chi guardò senza batter ciglia, ci fu chi mangiò abbondantemente e ne trasse sazietà, ci fu chi danzò sulla memoria di patrioti fedeli e devoti al bene comune.

Con questo bagaglio, assieme a circa un migliaio di ducati, ciò che restava degli investimenti fatti per avviare le due vigne e la cantina da poco inaugurata, si erano imbarcati più di un anno fa.

Fu allora che la nipote Elisa tenne le prime lezioni pratiche su come governare una nave a Dainello, il quale potette apprendere i trucchi di una navigazione veloce e sicura.
Al contempo, svincolatosi dagli impegni araldici, aveva trovato modo di occupare il suo tempo mappando ogni angolo che avrebbero da lì in avanti visitato.

Ricordava ancora la meraviglia provata all'apparire all'orizzonte delle isole Baleari, prima terra ferma avvistata dal ponte della nave dopo giorni di mare.
E ancora l'approdo a Denia, la pena per la desolazione di quei luoghi, impoveriti dal malgoverno, come temeva presto avrebbe potuto essere per la sua patria.
E Jativa, la capitale Valencia, militarizzata e visitabile solo per pochi contati giorni;
il ritorno verso la nave, l'imbarco, e la risalita del fiume Ebro, fino al porto di Caspe.
La traversata verso Fraga, la divertente questione con il tribunale Aragonese, che prima imputò a Elisa un illecito profitto di ben 0.05 ducati su un tronco di legno, per poi finirla con lo scusarsi per il disagio e il ritardo inflittoci.

L'attracco a Chiavari, il viaggio fino a Verona, le difficoltà nello stipare il carico di sale, dovuto poi custodire nella tenuta di Arlecchino a Guastalla.

Il primo rientro a Firenze, i disagi provocatici miratamente da vecchie conoscenze; le minacce di affondarci la nave al porto, per due giorni di proroga non consentiti pur dietro pagamento maggiorato prima e l'estorsione di un centinaio di ducati poi.

Capita viaggiando di avere contrattempi spiacevoli, un po' più strano imbattercisi solo a casa propria.

Poi la nuova partenza, per mete ancora più esotiche: le difficili manovre tra Scilla e Cariddi, lo spavento ingiustificato tra le isolette dell' Egeo, le palme di Canakkale, la cordialità ottomana, l'ingresso nello splendido mar di Marmara.
I cinque giorni di attesa al porto di Gemlik, vani...

L'approdo in Tracia, la risalita dell'Adriatico orientale, la piacevole pausa a Lezhë, la visita a zia Katied a Parenzo.
La risalita del Po, le mediazioni milanesi e modenesi, l'ordine abnorme a cui solo loro erano riusciti a far fronte, pur rinunciandovi visti i dubbi sulla sicurezza nella consegna, rinunciando a migliaia di ducati di commissione solo per il trasporto di tale entità di carico.

La tappa a Silvi, dove avevano caricato il cugino Ganimberto, riappacificato dopo mesi e mesi di freddezza dovuta a screzi per questioni che ormai risultavano così distanti, da non considerarle neppure più degne di essere prese in considerazione.

Ed erano di nuovo lì
a Montepulciano
con un anno in meno di vita da vivere
ma con tante esperienze ed emozioni da ricordare, superiori a quante ne avrebbero collezionate in una vita intera passata a sprecar tempo, passione e lealtà, per chi non avrebbe avuto neppure misura del loro valore.

I loro averi superavano di poco i 20000 ducati.

Dainello spremeva l'uva che avrebbe riempito i barili che Cornelia fabbricava, tramutandosi ognuno in tanti ducati quanto il doppio di quanto il municipio svendeva lo stesso prodotto al cugino modenese del generale poliziano, nobile, e "fedele" alla patria.
La stessa patria che a sua volta svendeva a un corriere senza scrupoli e senza modestia, tanto che si professava benefattore per riconoscere a Firenze 60 ducati a botte (meno le spese di trasporto), il proprio prodotto tipico, fino a quando la contessa Beatrice se ne accorse, e decretò un valore adeguato al prodotto che avrebbe fatto ricca Firenze, se difesa da parassiti ingordi e viscidi con l'aureola in testa lucidata di tutto punto.

Presto sarebbero partiti per la prima tappa di un'impresa straordinariamente redditizia,
per la quale si erano già preparati stipando quanto più sale potevano.

Nessun rimpianto, solo tanta soddisfazione in tante forme diverse.
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